Ricorso della Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione della Giunta stessa del 16 dicembre 2008, n. 4000, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv. prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova, Ezio Zanon dell'Avvocatura regionale e Luigi Manzi del Foro di Roma, presso quest'ultimo domiciliata in Roma, alla via Federico Confalonieri, n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, per conflitto di attribuzione tra Stato e regioni in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 novembre 2008, recante «Riordino della disciplina delle Comunita' montane, ai sensi dell'art. 2, comma 21, della legge 24 dicembre 2007, n. 244», pubblicato in Gazzetta Ufficiale - serie generale, n. 278 del 27 novembre 2008, risultato in contrasto con gli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione. F a t t o e d i r i t t o 1. - La Regione Veneto si rivolge a codesta ecc.ma Corte, con il presente ricorso per conflitto di attribuzione, ritenendo che le proprie competenze costituzionalmente garantite abbiano subito una concreta lesione con l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 novembre 2008, recante «Riordino della disciplina delle Comunita' montane, ai sensi dell'art. 2, comma 21, della legge 24 dicembre 2007, n. 244», pubblicato in Gazzetta Ufficiale - serie generale, n. 278 del 27 novembre 2008. A decorrere dalla data di pubblicazione del suddetto decreto, infatti, si sono prodotti, per il Veneto, gli effetti di cui al comma 20, dell'art. 2, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ove e' previsto che: «a) cessano di appartenere alle comunita' montane i comuni capoluogo di provincia, i comuni costieri e quelli con popolazione superiore ai 20.000 abitanti; b) sono soppresse le comunita' montane nelle quali piu' della meta' dei comuni non sono situati per almeno 1'80 per cento della loro superficie al di sopra di 500 metri di altitudine sopra il livello del mare ovvero non sono comuni situati per almeno il 50 per cento della loro superficie al di sopra di 500 metri di altitudine sul livello del mare e nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore non e' minore di 500 metri; nelle regioni alpine il limite minimo di altitudine e il dislivello della quota altimetrica, di cui al periodo precedente, sono di 600 metri; c) sono altresi' soppresse le comunita' montane che, anche in conseguenza di quanto disposto nella lettera a), risultano costituite da meno di cinque comuni, fatti salvi i casi in cui per la conformazione e le caratteristiche del territorio non sia possibile procedere alla costituzione delle stesse con almeno cinque comuni, fermi restando gli obiettivi di risparmio; d) nelle rimanenti comunita' montane, gli organi consiliari sono composti in modo da garantire la presenza delle minoranze, fermo restando che ciascun comune non puo' indicare piu' di un membro. A tal fine la base elettiva e' costituita dall'assemblea di tutti i consiglieri dei comuni, che elegge i componenti dell'organo consiliare con voto limitato. Gli organi esecutivi sono composti al massimo da un terzo dei componenti l'organo consiliare». L'odierna ricorrente ha, a suo tempo (con ricorso n. 19/2008) impugnato il richiamato art. 2, comma 20, assieme ad altre disposizioni normative del medesimo provvedimento normativo (nella specie i commi 17, 18, 19, 21 e 22 dell'art. 2), denunciando come, tramite esse, il legislatore statale abbia preteso di imporre alle regioni un riordino della disciplina delle comunita' montane irrazionale e incoerente con i fini dichiarati, nonche' lesiva delle competenze legislativa, organizzativo-amministrativa e finanziaria degli enti regionali. Oggi quei profili di illegittimita' costituzionale rilevati si sono tradotti, grazie al decreto del 19 novembre 2008, in una menomazione concreta, effettiva e inaccettabile della sfera di poteri e responsabilita' attribuiti alla Regione oggi ricorrente. 2. - Prima di procedere oltre, sembra opportuno richiamare, per cenni, la complessa vicenda normativa che nel corso del 2008 ha interessato le comunita' montane. Il riferimento e', innanzitutto, alla - gia' ricordata - legge n. 244/2007 (Finanziaria per il 2008), con la quale il legislatore statale ha imposto alle Regioni di effettuare, con proprie leggi, un riordino della disciplina delle Comunita' montane, ad integrazione di quanto previsto dall'art. 27 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (d.lgs. n. 267/2000), sulla base di «principi fondamentali» contestualmente dettati. Cio' al fine di ridurre la spesa corrente per il funzionamento di un importo pari ad almeno un terzo della quota del fondo ordinario statale assegnato per l'anno 2007 all'insieme delle comunita' montane presenti nella regione. Al comma 20, poi, in particolare, lo Stato prevedeva una peculiare forma di intervento sostitutivo-sanzionatorio: ove, infatti, le Regioni non avessero provveduto al suddetto riordino nel breve termine di sei mesi dall'entrata in vigore della legge finanziaria, conseguendo il relativo risparmio di spesa imposto, la modificazione e, in alcuni casi, la soppressione delle Comunita' montane sarebbe avvenuta ex lege, secondo i criteri indicati allo stesso comma. La Regione Veneto ha impugnato (ricorso n. 19/2008) la suddetta disciplina avanti a codesta ecc.ma Corte per violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione. Pendente il giudizio sul punto, il legislatore statale, con il decreto-legge 3 giugno 2008, n. 97, convertito con modificazioni dalla legge 2 agosto 2008, n. 129 (art. 4-bis, commi 5 e 6), concedeva alle regioni una proroga del termine previsto per il riordino delle comunita' montane (dal 30 giugno al 30 settembre) e al Governo piu' tempo per accertare i conseguenti risparmi di spesa (dal 31 luglio al 31 ottobre). Successivamente, negli stessi mesi in cui le regioni si trovavano impegnate nel difficile compito di tradurre in legge regionale la rigida riforma delle comunita' montane sostanzialmente gia' predeterminata nella Finanziaria 2008 e di ottenere il risparmio finanziario imposto, lo Stato prevedeva un'ulteriore decurtazione di fondi a danno delle Comunita' montane, riducendo i trasferimenti erariali a favore delle stesse di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011. Questo ulteriore taglio avveniva ad opera della c.d. Manovra estiva 2008, ossia la legge 6 agosto 2008, n. 133 (di conversione al decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112), art. 76, comma 6-bis. Infine, il d.P.C.m 19 novembre 2008, in attuazione dell'art. 2, comma 21, della legge finanziaria per il 2008, ha preso atto della revisione normativa operata, con propria legge, da dodici Regioni ordinarie, accertando - per altro in modo meramente formale - il conseguimento del risparmio di spesa imposto e ha reso efficaci per le regioni morose, tra cui il Veneto, le previsioni di cui all'art. 2, comma 20, della stessa Finanziaria, ossia la soppressione delle Comunita' montane non rispondenti a precisi criteri altimetrici e di quelle con meno di cinque comuni (lett. b, c), la decadenza di alcuni comuni dalla partecipazione alla comunita' (lett. a) e la revisione degli organi consiliari ed esecutivi con la riduzione dei loro appartenenti (lett. d). Allo stato, dunque, in applicazione della normativa statale, delle diciannove (19) comunita' montane sorte in Veneto, otto sono state soppresse: la Comunita' Bellunese Belluno - Ponte nelle Alpi, la Comunita' del Grappa e quella delle Prealpi trevigiane, la Comunita' montana del Baldo, della Lessinia e dell'Astico al Brenta, infine Agno-Chiampo e la Comunita' di Leogra-Timonchio. Per completezza si segnala che la Regione Veneto, pur essendo fermamente convinta dell'illegittimita' costituzionale delle disposizioni normative di cui alla legge n. 244/2007 impugnate e della menomazione dei propri poteri subiti ad opera del d.P.C.m. 19 novembre 2008, e pur confidando di ottenere ragione avanti a codesto ecc.mo giudice, ha dovuto prendere atto dell'automatica produzione di effetti sulla composizione e struttura delle proprie comunita' montane e cio' ha fatto con la deliberazione della Giunta regionale n. 3687 del 25 novembre 2008 (pubblicata nel B.U.R. n. 105 del 23 dicembre 2008). Essa ha, infatti, proceduto a nominare commissari straordinari della Giunta regionale per ciascuna delle Comunita' montane soppresse, con il compito di provvedere alla ricognizione del loro patrimonio e all'adozione degli atti amministrativi necessari a garantire la continuita' delle funzioni da esse svolte. Inoltre, la Giunta regionale ha ritenuto di commissariare anche le restanti comunita', al fine di sovrintendere al passaggio al nuovo regime normativo, facendo fronte ai drastici tagli ai finanziamenti subiti. 3. - Da quanto premesso, appare chiaramente come protagoniste indiscusse anche di questo nuovo ricorso alla Consulta siano le comunita' montane e la problematica da affrontare e risolvere sia quella della definizione e del rispetto dei poteri regionali, normativi, organizzativo-amministrativi e finanziari, su di esse. Per questo, si ritiene necessario anteporre all'illustrazione delle singole censure, un breve excursus relativo alla nascita, alla disciplina e all'inquadramento nel sistema costituzionale delle Comunita' montane. Se la prima legge ordinaria nella quale - in ossequio al disposto di cui all'art. 44, ultimo comma, Cost. - si ritrova traccia di una particolare attenzione ai territori montani e' la legge 25 luglio 1952, n. 991, il primo fondamento normativo, seppur solo di fonte regolamentare, di enti precipuamente montani si ha con il d.P.R. 10 giugno 1955, n. 987. Si trattava di un regolamento in materia di decentramento dei servizi del Ministero dell'agricoltura e delle foreste, in cui, all'art. 13, si disponeva che i comuni compresi in tutto o in parte nel perimetro di una zona montana potessero costituirsi in un consorzio a carattere permanente, denominato «Consiglio di valle» o «Comunita' montana». Successivamente il programma economico nazionale per il quinquennio 1966-70, approvato con legge n. 685 del 1967, segnalava, al punto 161, la necessita', tra l'altro, che per le zone di montagna si provvedesse a «riconoscere, nel quadro della programmazione regionale, la comunita' montana e il consiglio di valle, opportunamente integrato da altri enti consortili ivi operanti, come organo locale della programmazione decisionale ed operativa». Con legge 3 dicembre 1971, n. 1102 venivano create, con fonte di rango primario, le comunita' montane. Piu' precisamente, nel provvedimento legislativo ricordato, ribaditi i criteri di classificazione dei territori montani di cui al provvedimento legislativo del 1952, e stabilito, inoltre, l'obbligo di suddividere, con legge regionale, tali territori, in zone omogenee secondo un principio di unita' territoriale ed economica., veniva, per l'appunto, istituita una comunita' montana per ciascuna unita' omogenea. Per quanto attiene, in modo particolare, la Regione Veneto, essa ha dato tempestiva attuazione alla legge statale n. 1102 del 1971 mediante due leggi regionali, le nn. 10 e 11 del 1973, con le quali ha delimitato e regolamentato il funzionamento di diciotto comunita' montane. A queste, con legge regionale 3 luglio 1992, n. 19 (modificata in modo incisivo, poi, dalla legge regionale 9 settembre 1999, n. 39, ma tutt'oggi in vigore), si e' aggiunta la diciannovesima Comunita'. Successivamente una definizione compiuta delle comunita' montane e delle relative funzioni a livello statale e' stata fornita dall'art. 28 della legge 8 giugno 1990, n. 142 e dall'art. 27 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali, ossia il tutt'oggi vigente d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Nonostante gli auspici di parte della dottrina, favorevolmente colpita dai risultati raggiunti nelle zone montane mediante la loro istituzione, il legislatore costituzionale non approfittava della riforma del 2001 per annoverare le Comunita' montane tra gli enti che, ai sensi dell'art. 114 Costituzione, nuovo testo, costituiscono la Repubblica. Cosi', pur godendo di una sicura copertura costituzionale (ossia quella derivante, se non altro, dal disposto di cui all'art. 44, ultimo comma, Costituzione), si e' posto il problema della loro collocazione nell'ambito del sistema delle autonomie venuto a definirsi a seguito della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. La questione e' stata risolta da codesta ecc. ma Corte, la quale ha rilevato quanto segue: «l'evoluzione della legislazione in materia si caratterizza per il riconoscimento alla comunita' montana della natura di ente locale autonomo, quale proiezione dei comuni che ad essa fanno capo (...). La piu' recente normativa ha, altresi', specificato quale sia la effettiva natura giuridica di tali enti, qualificandoli dapprima quali ''unioni montane'' (...) e successivamente quali ''unioni di comuni, enti locali costituiti fra comuni montani''». Le comunita' montane sono, dunque, un «caso speciale di unioni di comuni create in vista della valorizzazione delle zone montane, allo scopo di esercitare, in modo piu' adeguato di quanto non consentirebbe la frammentazione dei comuni montani, ''funzioni proprie'', ''funzioni conferite'' e ''funzioni comunali ''» (cfr. Corte cost., sent., 24 giugno 2005, n. 244, riprendendo Corte cost., sent., 6 luglio 2001, n. 229; ma nel medesimo senso anche Corte cost., sent., 23 dicembre 2005, n. 456). 4. - Si vengono ora a considerare gli specifici profili di censura rilevati con riferimento alla lesione delle attribuzioni regionali posta in essere con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 novembre 2008, premettendo, che - trattandosi di attuazione di una disciplina legislativa precedente - esso risulta, comunque, inficiato dai medesimi vizi di legittimita' costituzionale gia' denunciati dalla regione odierna ricorrente (giudizio di legittimita' costituzionale, in via principale, n. 19/2008). La materia sulla quale lo Stato e' intervenuto e' incontestabilmente quella delle «Comunita' montane». Codesta ecc. ma Corte ha chiarito che «la disciplina delle comunita' montane (...) rientra nella competenza legislativa residua/e delle regioni ai sensi dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione» (Corte cost., sent., 24 giugno 2005, n. 244 e Corte cost., sent., 23 dicembre 2005, n. 456). Quello delle comunita' montane e', dunque, un ambito in cui la regione ha potesta' esclusiva e sul quale l'intervento del legislatore nazionale e' impedito. Di piu': la Corte costituzionale ha affermato che: «ai fini dello scrutinio di costituzionalita' delle norme regionali (...) non puo' neanche farsi utile riferimento (...) ai principi fondamentali che sarebbero desumibili dalla legislazione statale, e segnatamente dal d.lgs. n. 267 del 2000 in materia di disciplina delle autonomie locali: e cio' perche', vertendosi in materia rientrante nella competenza residua/e delle regioni, non puo' trovare applicazione la disposizione di cui all'art. 117, terzo comma, ultima parte, della Costituzione, la quale presuppone, invece, che si verta nelle materie di legislazione concorrente» (Corte cost., sent., 23 dicembre 2005, n. 456). Deve poi considerarsi che, se in ordine alla disciplina del funzionamento delle Comunita' montane indubbiamente competente e' la legge regionale, con esclusione della competenza esclusiva statale ex art. 117, comma 2, lett. p) (dal momento che quest'ultimo «fa espresso riferimento ai comuni, alle province e alle citta' metropolitane e l'indicazione deve ritenersi tassativa», cosi' in Corte cost., sent., 24 giugno 2005, n. 244), in materia di organizzazione delle stesse persino il legislatore regionale soggiace a dei limiti. Codesto ecc.mo Giudice delle leggi ha, infatti, riconosciuto che, in capo alle comunita' montane, accanto alle funzioni conferite con legge e a quelle delegate da parte dei Comuni associati, si trovano funzioni proprie, ossia identificative del tipo di ente in quanto ente di governo di una determinata comunita'. La presenza di funzioni proprie costituisce un limite per il legislatore statale ma anche per quello regionale, che non possono, nel definire l'ambito funzionale di ciascun ente, non riconoscere ad esso dette funzioni. Il riconoscimento di funzioni proprie ad un ente ne rende costituzionalmente necessaria la presenza. Esse, quindi, in quanto dotate di funzioni proprie, sono enti locali necessari e, quindi, non sopprimibili con legge. Con riguardo all'organizzazione di tali enti i poteri del legislatore, in primis nazionale ma anche regionale, trovano pesanti limiti: come gli enti di governo territoriale (comuni, province e citta' metropolitane) sono dotati di un'ampia autonomia normativa nel settore dell'organizzazione, autonomia garantita costituzionalmente dall'art. 117, sesto comma, Cost., cosi' e' da ritenere che tale autonomia sia assorbita anche dalle forme associative degli stesse e, quindi, dalla comunita' montana. Ne consegue che la disciplina organizzativa di quest'ultima, nei limiti dei principi costituzionali di riferimento (e, in particolare, dell'art. 97 Cost.), e' adottata in autonomia dagli enti locali medesimi all'atto di associarsi in comunita'. E' cosi' che autorevole dottrina (cfr. V. Cerulli Irelli, Le comunita' montane, in Relazione al Convegno UNCEM, Roma, 29 settembre 2005) addirittura esclude che «la singola comunita' montana possa essere formata, come avviene in base alla disciplina vigente, per atto della regione». Il legislatore statale nel 2008 ha, invece, preteso di intervenire in materia di comunita' montane, in prima battuta (con la Finanziaria per il 2008), imponendo alle regioni un riordino della materia e dettando la disciplina di principio alla quale conformarsi nello svolgimento di tale attivita', e ora (con il d.P.C.m 19 novembre 2008), sostituendosi concretamente alle regioni «morose», in parte sopprimendo e in parte riformando ex lege le comunita'. Si tratta di un'invasione del Governo centrale in un ambito di potesta' legislativa esclusiva che - sembra necessario evidenziarlo, anticipando una possibile ma infondata eccezione - non puo' essere giustificata neppure invocando la possibilita' dello Stato di «chiamare in sussidiarieta» alcune funzioni. Codesto ecc.mo Collegio ha, infatti, chiarito che: «e' ammissibile una deroga al normale riparto di competenze ''solo se la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata'', e ''non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita''», in quanto perche' nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne 1'esercizio, e' necessario che essa innanzitutto rispetti i principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni. E' necessario, inoltre, che tale legge detti una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine (cosi' Corte cost., sent., 24 giungo 2005, n. 242; Corte cost., sent., 1° ottobre 2003, n. 303 e Corte cost., sent., 13 gennaio 2004, n. 6). Tale esigenza di esercizio unitario della competenza non e' prevista nemmeno in accenno nelle disposizioni normative di cui il decreto 19 novembre 2008 costituisce attuazione (ossia la disciplina di cui all'art. 2, commi da 17 a 22, della Finanziaria 2008), ne' nel decreto stesso; non e' in ogni caso esistente e, comunque, non e' soddisfatta dall'intervento in concreto posto in essere dallo Stato. Nella denegata ipotesi, tuttavia, in cui si dovesse riconoscere la sussistenza della necessita' di una qualche forma di ingerenza del livello di governo centrale in materia di Comunita' montane e si volesse ritenere quella intervenuta proporzionata a soddisfare simile necessita', resterebbe palese la violazione del principio di leale collaborazione. Come la Corte adita ha in piu' occasioni chiarito, infatti, perche' l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, possa «aspirare a superare il vaglio di costituzionalita» e' necessaria la «presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta» (cfr. Corte cost., sent., 24 giungo 2005, n. 242; Corte cost., sent., 1° ottobre 2003, n. 303). Nella fattispecie concreta portata all'attenzione di codesta Corte, invece, la regione si trova a subire una disciplina imposta unilateralmente a livello centrale e cio' nonostante i tentativi di concertazione da anni portati avanti dalla stessa Regione Veneto e dall'Unione Nazionale Comuni e Comunita' Montane (UNCEM) per il riordino delle comunita' montane. Infine, per completezza, si evidenzia che l'illegittimita' della lesione delle prerogative regionale perpetrata non verrebbe meno neppure ove si invocassero, a sostegno dell'intervento statale, non meglio precisate esigenze di «coordinamento della finanza pubblica», dal momento che si tratta pur sempre di un ambito materiale in cui la potesta' legislativa e' regionale, anche se concorrente. 5. - Come si e' ricordato, il d.P.C.m. 19 novembre 2008, ha avuto l'effetto di rendere automaticamente operative, per la Regione Veneto, le prescrizioni di cui all'art. 2, comma 20, della legge n. 244 del 2007, gia' richiamato sub 1. «a) cessano di appartenere alle comunita' montane i comuni capoluogo di provincia, i comuni costieri e quelli con popolazione superiore ai 20.000 abitanti; b) sono soppresse le comunita' montane nelle quali piu' della meta' dei comuni non sono situati per almeno l'80 per cento della loro superficie al di sopra di 500 metri di altitudine sopra il livello del mare ovvero non sono comuni situati per almeno il 50 per cento della loro superficie al di sopra di 500 metri di altitudine sul livello del mare e nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore non e' minore di 500 metri; nelle regioni alpine il limite minimo di altitudine e il dislivello della quota altimetrica, di cui al periodo precedente, sono di 600 metri; c) sono altresi' soppresse le comunita' montane che, anche in conseguenza di quanto disposto nella lettera a), risultano costituite da meno di cinque comuni, fatti salvi i casi in cui per la conformazione e le caratteristiche del territorio non sia possibile procedere alla costituzione delle stesse con almeno cinque comuni, fermi restando gli obiettivi di risparmio; d) nelle rimanenti comunita' montane, gli organi consiliari sono composti in modo da garantire la presenza delle minoranze, fermo restando che ciascun comune non puo' indicare piu' di un membro. A tal fine la base elettiva e' costituita dall'assemblea di tutti i consiglieri dei comuni, che elegge i componenti dell'organo consiliare con voto limitato. Gli organi esecutivi sono composti al massimo da un terzo dei componenti l'organo consiliare». E' evidente che il prodursi degli effetti ivi indicati porta con se' una significativa menomazione del potere amministrativo regionale di cui all'art. 118 Cost. Spettava e spetta alla Regione Veneto, infatti, in attuazione delle competenze ad essa attribuite direttamente dalla Costituzione e dalle leggi che ad essa hanno dato attuazione, e, salvo il rispetto di queste, con piena discrezionalita', la riorganizzazione degli apparati che, nell'ambito delle comunita' montane, son deputati a svolgere le funzioni ad esse demandate e il riordino dell'erogazione delle funzioni stesse. 6. - L'intervento di soppressione e di ridefinizione delle Comunita' montane del Veneto operato tramite d.P.C.m. 19 novembre 2008, inoltre, risulta irrispettoso dei poteri finanziari regionali di spesa di cui all'art. 119 Cost. Esso, infatti, si e' risolto, in concreto, anche nella cancellazione, imposta dallo Stato, di alcune voci di spesa, ossia quelle di finanziamento regionale alle comunita' soppresse, e nella rideterminazione, secondo i criteri centralmente fissati anche nel quantum, delle uscite a favore delle Comunita' «riordinate» mediante l'ultimo intervento del Governo centrale. Le regioni, al contrario, devono essere lasciate libere di scegliere quali spese limitare a vantaggio di altre (Corte cost., sent., 26 gennaio 2004, n. 36; Corte cost., sent., 17 dicembre 2004, n. 390; Corte cost., sent., 14 novembre 2005, n. 417; Corte cost., sent., 15 dicembre 2005, n. 449; Corte cost., sent., 10 marzo 2006, n. 88), mentre la previsione del legislatore statale puo' al massimo tradursi nell'imposizione di un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (cosi' Corte cost., sent., 26 gennaio 2004, n. 36). Il che non significa affatto che la regione pretenda per se' il diritto di sperperare il pubblico denaro. Non solo: il vincolo alla spesa, cosi' come imposto e attuato dal legislatore statale, e' comunque - come si dira' - viziato sotto il profilo della ragionevolezza e del buon andamento. 7. - Infine, sembra opportuno rilevare che il cosiddetto riordino imposto alla Regione Veneto dallo Stato, oltre che - come gia' evidenziato - lesivo delle competenze regionali, si segnala per la sua irrazionalita'. La disciplina statale fissata nella legge n. 244/2007, di cui come si e' detto l'intervento del d.P.C.m. del novembre scorso costituisce attuazione coatta per le regioni che non hanno provveduto a conformarvisi spontaneamente, e' chiaramente ispirato ad una duplice finalita': istituzionale, di riordino della disciplina delle comunita' montane, e finanziaria, ossia di riduzione della spesa corrente di funzionamento delle Comunita' stesse. E' evidente, altresi', che la finalita' istituzionale si trova, nei confronti della finalita' di natura finanziaria in rapporto di mezzo a fine. Ammesso e non concesso che la necessita' di coordinare le finanze pubbliche, riducendo la spesa, possa legittimare un intervento ordinamentale tanto permeante, deve denunziarsi come il prodursi automatico degli effetti di cui al comma 20 dell'art. 2 della Finanziaria 2008 non generera', in Veneto, alcuna forma di risparmio. Gia' a livello intuitivo appare evidente, infatti, che la soppressione di Comunita' montane ex abrupto e la riduzione dei comuni che le compongono sono destinate a inficiare quelle economie di scala per cui le comunita' stesse sono state create e sono divenute famose, almeno nei luoghi in cui funzionano. E cio' senza considerare che il subentro dei comuni alle comunita' montane soppresse nei rapporti attivi e passivi potrebbe presentare profili onerosi nell'ipotesi - tutt'altro che remota - in cui l'incidenza degli aspetti passivi risultasse maggiore rispetto a quella dei profili attivi. E se cio' e' vero in linea generale, lo e' ancora di piu' nel caso specifico della Regione Veneto, come si tentera' di seguito di dimostrare con l'ausilio di qualche dato dei bilanci delle Comunita' venete 2006, pubblicati dall'Istat. Dall'analisi di questi bilanci emerge che, dei 136,4 milioni disponibili nel 2006, il 24,81% e' stato assorbito dalla spesa concorrente e che - fatto 100 questo valore - la fetta piu' grossa (52%, pari a 17,8 milioni) e' stata utilizzata per la prestazione di servizi (6,7 milioni sono stati spesi per la gestione del territorio e la tutela dell'ambiente e oltre 2 milioni per i servizi socio-assistenziali e sanitari). La spesa per il personale si poneva al di sotto della media dei comuni italiani impegnando il 22,5% delle spese correnti, mentre la quota maggiore di uscite era rappresentata dalla spesa per i servizi che le comunita' hanno svolto per conto terzi e principalmente per i comuni. I dati riportati non dimostrano semplicemente che le comunita' montane venete, oggi in parte soppresse e per il resto ridotte sul lastrico dai continui e dissennati tagli dell'ultimo anno, lungi dall'essere centri inutili di spesa burocratica, hanno rappresentato e rappresentano efficienti istituzioni esponenziali del loro territorio; ma anche che il risparmio che astrattamente si potrebbe conseguire da una riduzione del numero delle Comunita' montane sara', in realta', minimo. La maggior parte della loro spesa era, infatti, destinata a funzioni per il territorio e la sua popolazione, funzioni che dovranno essere riassorbite dai Comuni o dagli enti che a loro succederanno a costi certamente maggiori, dato il venir meno di economie di scala. Lo stesso commissariamento che la Regione Veneto si e' vista costretta a deliberare avra' dei costi significativi. Deve, poi, considerarsi che tra le comunita' venete soppresse a partire dalla pubblicazione del d.P.C.m. del novembre scorso si annoverano anche comunita' che si sono distinte sul piano nazionale per l'efficienza nella gestione della spesa, quali le Comunita' delle Prealpi trevigiane, del Baldo, dell'Astico al Brenta, di Agno-Chiampo e di Leogra Timonchio.Cfr. «Comunita montane e qualita' della spesa. I progetti, gli interventi, i servizi piu' significativi», Indagine UNCEM, a cura di E. Racca, Roma, settembre 2007, pp. 27 e ss. Si considerino, inoltre, l'inopportunita' e l'irrazionalita' dell'intervento statale di cui al d.P.C.m. del 19 novembre 2008, il cui carattere immediatamente lesivo delle prerogative regionali e' gia' stato denunciato, sotto un'ulteriore profilo: con la soppressione automatica di otto delle diciannove comunita' montane venete che da esso consegue, lo Stato produce una traumatica interruzione di quel rapporto di consolidata convivenza ed aggregazione tra comuni con esigenze tra loro molto simili che si e' venuto a creare nel tempo e che ha portato meritori risultati sotto il profilo della tutela della montagna e delle sue popolazioni. Non solo: il rischio che l'erogazione dei numerosi servizi (servizi quali quelli sociali, assistenziali, di trasporto scolastico, di raccolta dei rifiuti ecc.), che fino a ieri spettava alle comunita' montane a sostegno dei comuni membri, venga interrotta e' reso altissimo dal silenzio serbato dal Governo centrale in merito al periodo di transizione ad un nuovo regime. Anche la disciplina di cui all'art. 2, comma 22, della legge n. 244/2007, ove si prevede il subentro dei comuni alle soppresse comunita' montane, poi, e' inidonea a indirizzare le regioni nella fase successiva al cosiddetto riordino ed e', peraltro, viziata sotto molteplici profili (rilevati con ricorso n. 19/2008) da illegittimita' costituzionale. Tutto questo non potra' che avere conseguenze drammatiche sul buon andamento delle pubbliche amministrazioni interessate da questa riforma. Insomma, un riordino - degno di questo nome - si sarebbe potuto avere solo a livello regionale, dal momento che e' la regione l'ente che, conoscendo la storia, le caratteristiche e le esigenze dei territori che lo compongono, ha la capacita' di interloquire con i comuni e le loro popolazioni in modo serio e costruttivo. A nulla servono, invece, le riforme «calate dall'alto», sulla base di criteri fisico-geografici e socio-economici uguali per tutte le regioni d'Italia. (1) Cfr. «Comunita montane e qualita' della spesa. I progetti, gli interventi, i servizi piu' significativi», Indagine UNCEM, a cura di E. Racca, Roma, settembre 2007, pp. 27 e ss.