Ricorso della Regione  Veneto,  in  persona  del  Presidente  pro
tempore della Giunta regionale,  autorizzato  mediante  deliberazione
della Giunta stessa del 16 dicembre 2008, n.  4000,  rappresentata  e
difesa, come da procura speciale a margine del presente  atto,  dagli
avv.  prof.  Mario  Bertolissi  del  Foro  di  Padova,   Ezio   Zanon
dell'Avvocatura regionale e Luigi Manzi  del  Foro  di  Roma,  presso
quest'ultimo domiciliata in Roma, alla via Federico Confalonieri,  n.
5; 
    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, alla via dei Portoghesi, n.
12, per conflitto di attribuzione tra Stato e regioni in relazione al
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19  novembre  2008,
recante «Riordino della disciplina delle Comunita' montane, ai  sensi
dell'art. 2, comma  21,  della  legge  24  dicembre  2007,  n.  244»,
pubblicato in Gazzetta Ufficiale - serie  generale,  n.  278  del  27
novembre 2008, risultato in contrasto con gli artt. 3, 97, 117, 118 e
119 della Costituzione. 
                     F a t t o  e  d i r i t t o 
    1. - La Regione Veneto si rivolge a codesta ecc.ma Corte, con  il
presente ricorso per conflitto  di  attribuzione,  ritenendo  che  le
proprie competenze costituzionalmente garantite  abbiano  subito  una
concreta lesione con l'emanazione  del  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri 19  novembre  2008,  recante  «Riordino  della
disciplina delle Comunita' montane, ai sensi dell'art. 2,  comma  21,
della legge  24  dicembre  2007,  n.  244»,  pubblicato  in  Gazzetta
Ufficiale - serie generale, n. 278 del 27 novembre 2008. 
    A decorrere dalla data di  pubblicazione  del  suddetto  decreto,
infatti, si sono prodotti, per il Veneto, gli effetti di cui al comma
20, dell'art. 2, della  legge  24  dicembre  2007,  n.  244,  ove  e'
previsto che: 
        «a) cessano di appartenere alle comunita'  montane  i  comuni
capoluogo di provincia, i comuni costieri e  quelli  con  popolazione
superiore ai 20.000 abitanti; b) sono soppresse le comunita'  montane
nelle quali piu' della meta' dei comuni non sono situati  per  almeno
1'80 per cento della loro superficie al di  sopra  di  500  metri  di
altitudine sopra il livello del mare ovvero non sono  comuni  situati
per almeno il 50 per cento della loro superficie al di sopra  di  500
metri di altitudine sul livello del mare e nei  quali  il  dislivello
tra la quota altimetrica inferiore e la superiore non  e'  minore  di
500 metri; nelle regioni alpine il limite minimo di altitudine  e  il
dislivello della quota altimetrica, di  cui  al  periodo  precedente,
sono di 600 metri; c) sono altresi' soppresse  le  comunita'  montane
che, anche in  conseguenza  di  quanto  disposto  nella  lettera  a),
risultano costituite da meno di cinque comuni, fatti salvi i casi  in
cui per la conformazione e le caratteristiche del territorio non  sia
possibile procedere alla costituzione delle stesse con almeno  cinque
comuni, fermi restando gli obiettivi di risparmio; d) nelle rimanenti
comunita' montane, gli organi consiliari sono  composti  in  modo  da
garantire la presenza delle minoranze,  fermo  restando  che  ciascun
comune non puo' indicare piu' di  un  membro.  A  tal  fine  la  base
elettiva e' costituita dall'assemblea  di  tutti  i  consiglieri  dei
comuni, che elegge  i  componenti  dell'organo  consiliare  con  voto
limitato. Gli organi esecutivi sono composti al massimo da  un  terzo
dei componenti l'organo consiliare». 
    L'odierna ricorrente ha, a suo tempo  (con  ricorso  n.  19/2008)
impugnato  il  richiamato  art.  2,  comma  20,  assieme   ad   altre
disposizioni normative del medesimo  provvedimento  normativo  (nella
specie i commi 17, 18, 19, 21 e 22 dell'art.  2),  denunciando  come,
tramite esse, il legislatore statale abbia preteso  di  imporre  alle
regioni  un  riordino  della  disciplina  delle   comunita'   montane
irrazionale e incoerente con i fini dichiarati, nonche' lesiva  delle
competenze legislativa,  organizzativo-amministrativa  e  finanziaria
degli enti regionali. 
    Oggi quei profili di illegittimita'  costituzionale  rilevati  si
sono tradotti, grazie  al  decreto  del  19  novembre  2008,  in  una
menomazione concreta, effettiva e inaccettabile della sfera di poteri
e responsabilita' attribuiti alla Regione oggi ricorrente. 
    2. - Prima di procedere oltre, sembra opportuno  richiamare,  per
cenni, la complessa vicenda normativa  che  nel  corso  del  2008  ha
interessato le comunita' montane. 
    Il riferimento e', innanzitutto, alla - gia' ricordata - legge n.
244/2007 (Finanziaria per il  2008),  con  la  quale  il  legislatore
statale ha imposto alle Regioni di effettuare, con proprie leggi,  un
riordino della disciplina delle Comunita' montane, ad integrazione di
quanto  previsto  dall'art.  27   del   testo   unico   delle   leggi
sull'ordinamento degli enti locali (d.lgs. n. 267/2000),  sulla  base
di «principi fondamentali» contestualmente dettati. Cio' al  fine  di
ridurre la spesa corrente per il funzionamento di un importo pari  ad
almeno un terzo della quota del fondo ordinario statale assegnato per
l'anno  2007  all'insieme  delle  comunita'  montane  presenti  nella
regione. 
    Al  comma  20,  poi,  in  particolare,  lo  Stato  prevedeva  una
peculiare  forma  di   intervento   sostitutivo-sanzionatorio:   ove,
infatti, le Regioni non avessero provveduto al suddetto riordino  nel
breve  termine  di  sei  mesi  dall'entrata  in  vigore  della  legge
finanziaria, conseguendo il relativo risparmio di spesa  imposto,  la
modificazione e, in alcuni  casi,  la  soppressione  delle  Comunita'
montane sarebbe avvenuta ex lege, secondo  i  criteri  indicati  allo
stesso comma. 
    La Regione Veneto ha impugnato (ricorso n. 19/2008)  la  suddetta
disciplina avanti a codesta ecc.ma Corte per violazione  degli  artt.
3, 97,  117,  118  e  119  Cost.,  nonche'  del  principio  di  leale
collaborazione. 
    Pendente il giudizio sul punto, il legislatore  statale,  con  il
decreto-legge 3 giugno 2008,  n.  97,  convertito  con  modificazioni
dalla legge 2 agosto  2008,  n.  129  (art.  4-bis,  commi  5  e  6),
concedeva alle regioni  una  proroga  del  termine  previsto  per  il
riordino delle comunita' montane (dal 30 giugno al 30 settembre) e al
Governo piu' tempo per accertare i conseguenti risparmi di spesa (dal
31 luglio al 31 ottobre). 
    Successivamente, negli stessi mesi in cui le regioni si trovavano
impegnate nel difficile compito di tradurre  in  legge  regionale  la
rigida  riforma  delle   comunita'   montane   sostanzialmente   gia'
predeterminata nella Finanziaria 2008  e  di  ottenere  il  risparmio
finanziario imposto, lo Stato prevedeva un'ulteriore decurtazione  di
fondi a danno delle  Comunita'  montane,  riducendo  i  trasferimenti
erariali a favore delle stesse di 30 milioni  di  euro  per  ciascuno
degli anni 2009, 2010 e 2011. 
    Questo ulteriore taglio avveniva  ad  opera  della  c.d.  Manovra
estiva 2008, ossia la legge 6 agosto 2008, n. 133 (di conversione  al
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112), art. 76, comma 6-bis. 
    Infine, il d.P.C.m 19 novembre 2008, in attuazione  dell'art.  2,
comma 21, della legge finanziaria per il 2008, ha  preso  atto  della
revisione normativa operata, con propria  legge,  da  dodici  Regioni
ordinarie, accertando - per altro in  modo  meramente  formale  -  il
conseguimento del risparmio di spesa imposto e ha reso  efficaci  per
le regioni morose, tra cui il Veneto, le previsioni di  cui  all'art.
2, comma 20, della stessa Finanziaria, ossia  la  soppressione  delle
Comunita' montane non rispondenti a precisi criteri altimetrici e  di
quelle con meno di cinque comuni (lett. b, c), la decadenza di alcuni
comuni dalla partecipazione alla comunita' (lett. a) e  la  revisione
degli organi consiliari  ed  esecutivi  con  la  riduzione  dei  loro
appartenenti (lett. d). 
    Allo stato, dunque,  in  applicazione  della  normativa  statale,
delle diciannove (19) comunita' montane sorte in  Veneto,  otto  sono
state soppresse: la Comunita' Bellunese Belluno - Ponte  nelle  Alpi,
la Comunita'  del  Grappa  e  quella  delle  Prealpi  trevigiane,  la
Comunita' montana del Baldo, della Lessinia e dell'Astico al  Brenta,
infine Agno-Chiampo e la Comunita' di Leogra-Timonchio. 
    Per completezza si segnala che la  Regione  Veneto,  pur  essendo
fermamente   convinta   dell'illegittimita'   costituzionale    delle
disposizioni normative di cui alla  legge  n.  244/2007  impugnate  e
della menomazione dei propri poteri subiti ad opera del  d.P.C.m.  19
novembre 2008, e pur confidando di ottenere ragione avanti a  codesto
ecc.mo giudice, ha dovuto prendere atto dell'automatica produzione di
effetti  sulla  composizione  e  struttura  delle  proprie  comunita'
montane e cio' ha fatto con la deliberazione della  Giunta  regionale
n. 3687 del 25 novembre 2008 (pubblicata nel B.U.R.  n.  105  del  23
dicembre 2008). 
    Essa ha, infatti, proceduto a  nominare  commissari  straordinari
della  Giunta  regionale  per  ciascuna   delle   Comunita'   montane
soppresse, con il compito di provvedere alla  ricognizione  del  loro
patrimonio e  all'adozione  degli  atti  amministrativi  necessari  a
garantire la continuita' delle funzioni da esse svolte.  Inoltre,  la
Giunta regionale ha  ritenuto  di  commissariare  anche  le  restanti
comunita', al fine di sovrintendere  al  passaggio  al  nuovo  regime
normativo, facendo fronte ai drastici tagli ai finanziamenti subiti. 
    3. - Da quanto premesso,  appare  chiaramente  come  protagoniste
indiscusse anche di questo  nuovo  ricorso  alla  Consulta  siano  le
comunita' montane e la problematica da  affrontare  e  risolvere  sia
quella  della  definizione  e  del  rispetto  dei  poteri  regionali,
normativi, organizzativo-amministrativi e finanziari, su di esse. 
    Per questo, si  ritiene  necessario  anteporre  all'illustrazione
delle singole censure, un breve excursus relativo alla nascita,  alla
disciplina  e  all'inquadramento  nel  sistema  costituzionale  delle
Comunita' montane. 
    Se la prima legge ordinaria nella quale - in ossequio al disposto
di cui all'art. 44, ultimo comma, Cost. - si ritrova traccia  di  una
particolare attenzione ai territori montani e'  la  legge  25  luglio
1952, n. 991, il primo fondamento normativo,  seppur  solo  di  fonte
regolamentare, di enti precipuamente montani si ha con il  d.P.R.  10
giugno 1955, n. 987. 
    Si trattava di un regolamento in  materia  di  decentramento  dei
servizi del Ministero  dell'agricoltura  e  delle  foreste,  in  cui,
all'art. 13, si disponeva che i comuni compresi in tutto o  in  parte
nel perimetro  di  una  zona  montana  potessero  costituirsi  in  un
consorzio a carattere permanente, denominato «Consiglio di  valle»  o
«Comunita' montana». 
    Successivamente  il  programma   economico   nazionale   per   il
quinquennio 1966-70, approvato con legge n. 685 del 1967,  segnalava,
al punto 161, la necessita', tra l'altro, che per le zone di montagna
si  provvedesse  a  «riconoscere,  nel  quadro  della  programmazione
regionale,  la  comunita'  montana   e   il   consiglio   di   valle,
opportunamente integrato da altri enti consortili ivi operanti,  come
organo locale della programmazione decisionale ed operativa». 
    Con legge 3 dicembre 1971, n. 1102 venivano create, con fonte  di
rango  primario,  le  comunita'  montane.  Piu'   precisamente,   nel
provvedimento  legislativo   ricordato,   ribaditi   i   criteri   di
classificazione  dei  territori  montani  di  cui  al   provvedimento
legislativo del 1952, e stabilito, inoltre, l'obbligo di suddividere,
con legge regionale, tali territori,  in  zone  omogenee  secondo  un
principio  di  unita'  territoriale  ed   economica.,   veniva,   per
l'appunto,  istituita  una  comunita'  montana  per  ciascuna  unita'
omogenea. 
    Per quanto attiene, in modo particolare, la Regione Veneto,  essa
ha dato tempestiva attuazione alla legge statale  n.  1102  del  1971
mediante due leggi regionali, le nn. 10 e 11 del 1973, con  le  quali
ha delimitato e regolamentato il funzionamento di diciotto  comunita'
montane.  A  queste,  con  legge  regionale  3  luglio  1992,  n.  19
(modificata in modo incisivo, poi, dalla legge regionale 9  settembre
1999,  n.  39,  ma  tutt'oggi  in  vigore),   si   e'   aggiunta   la
diciannovesima Comunita'. 
    Successivamente una definizione compiuta delle comunita'  montane
e  delle  relative  funzioni  a  livello  statale  e'  stata  fornita
dall'art. 28 della legge 8 giugno 1990, n. 142  e  dall'art.  27  del
testo unico sull'ordinamento degli enti locali,  ossia  il  tutt'oggi
vigente d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. 
    Nonostante gli auspici di parte  della  dottrina,  favorevolmente
colpita dai risultati raggiunti nelle zone montane mediante  la  loro
istituzione, il legislatore  costituzionale  non  approfittava  della
riforma del 2001 per annoverare le Comunita'  montane  tra  gli  enti
che, ai sensi dell'art. 114 Costituzione, nuovo testo,  costituiscono
la Repubblica. 
    Cosi', pur godendo di una sicura copertura costituzionale  (ossia
quella derivante, se non altro, dal  disposto  di  cui  all'art.  44,
ultimo comma, Costituzione), si  e'  posto  il  problema  della  loro
collocazione  nell'ambito  del  sistema  delle  autonomie  venuto   a
definirsi a seguito della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 
    La questione e' stata risolta da codesta ecc. ma Corte, la  quale
ha rilevato quanto segue: «l'evoluzione della legislazione in materia
si caratterizza per il riconoscimento alla  comunita'  montana  della
natura di ente locale autonomo, quale proiezione dei  comuni  che  ad
essa fanno capo  (...).  La  piu'  recente  normativa  ha,  altresi',
specificato quale sia la effettiva natura  giuridica  di  tali  enti,
qualificandoli   dapprima   quali   ''unioni   montane''   (...)    e
successivamente quali ''unioni di comuni, enti locali costituiti  fra
comuni montani''».  Le  comunita'  montane  sono,  dunque,  un  «caso
speciale di unioni di comuni create  in  vista  della  valorizzazione
delle zone montane, allo scopo di esercitare, in modo  piu'  adeguato
di quanto non consentirebbe la  frammentazione  dei  comuni  montani,
''funzioni proprie'', ''funzioni conferite''  e  ''funzioni  comunali
''» (cfr. Corte cost., sent., 24 giugno  2005,  n.  244,  riprendendo
Corte cost., sent., 6 luglio 2001, n.  229;  ma  nel  medesimo  senso
anche Corte cost., sent., 23 dicembre 2005, n. 456). 
    4. - Si vengono  ora  a  considerare  gli  specifici  profili  di
censura rilevati con  riferimento  alla  lesione  delle  attribuzioni
regionali posta in essere con il decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri del 19 novembre 2008, premettendo, che - trattandosi  di
attuazione di una disciplina legislativa precedente -  esso  risulta,
comunque, inficiato dai medesimi vizi di legittimita'  costituzionale
gia'  denunciati  dalla  regione  odierna  ricorrente  (giudizio   di
legittimita' costituzionale, in via principale, n. 19/2008). 
    La   materia   sulla   quale   lo   Stato   e'   intervenuto   e'
incontestabilmente quella delle «Comunita' montane». 
    Codesta ecc. ma  Corte  ha  chiarito  che  «la  disciplina  delle
comunita'  montane  (...)  rientra   nella   competenza   legislativa
residua/e delle regioni ai sensi dell'art. 117, quarto  comma,  della
Costituzione» (Corte cost., sent., 24 giugno 2005,  n.  244  e  Corte
cost., sent., 23 dicembre 2005, n. 456). 
    Quello delle comunita' montane e', dunque, un ambito  in  cui  la
regione  ha  potesta'  esclusiva  e  sul   quale   l'intervento   del
legislatore nazionale e' impedito. Di piu': la  Corte  costituzionale
ha affermato che: «ai fini dello scrutinio di costituzionalita' delle
norme regionali (...) non puo' neanche farsi utile riferimento  (...)
ai principi fondamentali che sarebbero desumibili dalla  legislazione
statale, e segnatamente dal d.lgs. n. 267  del  2000  in  materia  di
disciplina delle autonomie locali:  e  cio'  perche',  vertendosi  in
materia rientrante nella competenza residua/e delle regioni, non puo'
trovare applicazione la  disposizione  di  cui  all'art.  117,  terzo
comma, ultima parte, della Costituzione, la quale presuppone, invece,
che si verta nelle materie di legislazione concorrente» (Corte cost.,
sent., 23 dicembre 2005, n. 456). 
    Deve poi considerarsi che,  se  in  ordine  alla  disciplina  del
funzionamento delle Comunita' montane indubbiamente competente e'  la
legge regionale, con esclusione della competenza esclusiva statale ex
art. 117, comma  2,  lett.  p)  (dal  momento  che  quest'ultimo  «fa
espresso  riferimento  ai  comuni,  alle  province  e   alle   citta'
metropolitane e l'indicazione deve  ritenersi  tassativa»,  cosi'  in
Corte  cost.,  sent.,  24  giugno  2005,  n.  244),  in  materia   di
organizzazione delle stesse persino il legislatore regionale soggiace
a dei limiti. 
    Codesto ecc.mo Giudice delle leggi ha, infatti, riconosciuto che,
in capo alle comunita' montane, accanto alle funzioni  conferite  con
legge e a quelle delegate da parte dei Comuni associati,  si  trovano
funzioni proprie, ossia identificative del tipo  di  ente  in  quanto
ente di governo di una determinata comunita'. 
    La presenza di funzioni proprie  costituisce  un  limite  per  il
legislatore statale ma anche per quello regionale, che  non  possono,
nel definire l'ambito funzionale di ciascun ente, non riconoscere  ad
esso dette funzioni. Il riconoscimento di funzioni proprie ad un ente
ne rende costituzionalmente necessaria la presenza. Esse, quindi,  in
quanto dotate di funzioni proprie,  sono  enti  locali  necessari  e,
quindi, non sopprimibili con legge. 
    Con  riguardo  all'organizzazione  di  tali  enti  i  poteri  del
legislatore, in primis nazionale ma anche regionale, trovano  pesanti
limiti: come gli enti di governo  territoriale  (comuni,  province  e
citta' metropolitane) sono dotati di un'ampia autonomia normativa nel
settore dell'organizzazione, autonomia  garantita  costituzionalmente
dall'art. 117, sesto comma, Cost., cosi'  e'  da  ritenere  che  tale
autonomia sia assorbita anche dalle forme associative degli stesse e,
quindi, dalla comunita' montana. 
    Ne consegue che la disciplina organizzativa di quest'ultima,  nei
limiti dei principi costituzionali di riferimento (e, in particolare,
dell'art. 97 Cost.), e'  adottata  in  autonomia  dagli  enti  locali
medesimi all'atto di associarsi in comunita'. E' cosi' che autorevole
dottrina (cfr. V. Cerulli Irelli, Le comunita' montane, in  Relazione
al Convegno UNCEM, Roma, 29 settembre 2005) addirittura  esclude  che
«la singola comunita' montana possa essere formata, come  avviene  in
base alla disciplina vigente, per atto della regione». 
    Il  legislatore  statale  nel  2008  ha,   invece,   preteso   di
intervenire in materia di comunita' montane, in prima battuta (con la
Finanziaria per il 2008), imponendo alle regioni  un  riordino  della
materia e dettando la disciplina di principio alla quale  conformarsi
nello svolgimento di  tale  attivita',  e  ora  (con  il  d.P.C.m  19
novembre 2008), sostituendosi concretamente alle regioni «morose», in
parte sopprimendo e in parte riformando ex lege le comunita'. 
    Si tratta di un'invasione del Governo centrale in  un  ambito  di
potesta' legislativa esclusiva che - sembra necessario  evidenziarlo,
anticipando una possibile ma infondata eccezione -  non  puo'  essere
giustificata  neppure  invocando  la  possibilita'  dello  Stato   di
«chiamare in sussidiarieta» alcune funzioni. 
    Codesto  ecc.mo  Collegio  ha,   infatti,   chiarito   che:   «e'
ammissibile una deroga al normale riparto di competenze ''solo se  la
valutazione dell'interesse  pubblico  sottostante  all'assunzione  di
funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata'', e  ''non
risulti affetta da irragionevolezza alla  stregua  di  uno  scrutinio
stretto di costituzionalita''», in quanto perche'  nelle  materie  di
cui all'art. 117, terzo e quarto  comma,  Cost.,  una  legge  statale
possa legittimamente attribuire  funzioni  amministrative  a  livello
centrale ed al tempo stesso regolarne 1'esercizio, e' necessario  che
essa   innanzitutto   rispetti   i   principi   di    sussidiarieta',
differenziazione  e  adeguatezza  nella  allocazione  delle  funzioni
amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali
funzioni. E' necessario, inoltre, che tale legge detti una disciplina
logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette
funzioni, e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile
a tale fine (cosi' Corte cost., sent., 24 giungo 2005, n. 242;  Corte
cost., sent., 1° ottobre 2003,  n.  303  e  Corte  cost.,  sent.,  13
gennaio 2004, n. 6). 
    Tale esigenza di  esercizio  unitario  della  competenza  non  e'
prevista nemmeno in accenno nelle disposizioni normative  di  cui  il
decreto 19 novembre 2008 costituisce attuazione (ossia la  disciplina
di cui all'art. 2, commi da 17 a 22, della Finanziaria 2008), ne' nel
decreto stesso; non e' in ogni caso esistente  e,  comunque,  non  e'
soddisfatta dall'intervento in concreto posto in essere dallo Stato. 
    Nella denegata ipotesi, tuttavia, in cui si  dovesse  riconoscere
la sussistenza della necessita' di una qualche forma di ingerenza del
livello di governo centrale in materia  di  Comunita'  montane  e  si
volesse ritenere quella intervenuta proporzionata a soddisfare simile
necessita', resterebbe palese la violazione del  principio  di  leale
collaborazione. Come la Corte adita ha in  piu'  occasioni  chiarito,
infatti, perche' l'esigenza di esercizio  unitario  che  consente  di
attrarre,  insieme  alla  funzione   amministrativa,   anche   quella
legislativa,   possa   «aspirare   a   superare    il    vaglio    di
costituzionalita» e' necessaria la «presenza di  una  disciplina  che
prefiguri un iter in cui assumano  il  dovuto  risalto  le  attivita'
concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che
devono essere condotte in base al principio di  lealta»  (cfr.  Corte
cost., sent., 24 giungo 2005, n. 242; Corte cost., sent., 1°  ottobre
2003, n. 303). 
    Nella fattispecie  concreta  portata  all'attenzione  di  codesta
Corte, invece, la regione si trova a subire  una  disciplina  imposta
unilateralmente a livello centrale e cio' nonostante i  tentativi  di
concertazione da anni portati avanti dalla stessa  Regione  Veneto  e
dall'Unione Nazionale Comuni  e  Comunita'  Montane  (UNCEM)  per  il
riordino delle comunita' montane. 
    Infine, per completezza, si evidenzia che l'illegittimita'  della
lesione delle prerogative  regionale  perpetrata  non  verrebbe  meno
neppure ove si invocassero, a sostegno dell'intervento  statale,  non
meglio precisate esigenze di «coordinamento della finanza  pubblica»,
dal momento che si tratta pur sempre di un ambito materiale in cui la
potesta' legislativa e' regionale, anche se concorrente. 
    5. - Come si e' ricordato, il d.P.C.m. 19 novembre 2008, ha avuto
l'effetto  di  rendere  automaticamente  operative,  per  la  Regione
Veneto, le prescrizioni di cui all'art. 2, comma 20, della  legge  n.
244 del 2007, gia' richiamato sub 1. 
        «a) cessano di appartenere alle comunita'  montane  i  comuni
capoluogo di provincia, i comuni costieri e  quelli  con  popolazione
superiore ai 20.000 abitanti; b) sono soppresse le comunita'  montane
nelle quali piu' della meta' dei comuni non sono situati  per  almeno
l'80 per cento della loro superficie al di  sopra  di  500  metri  di
altitudine sopra il livello del mare ovvero non sono  comuni  situati
per almeno il 50 per cento della loro superficie al di sopra  di  500
metri di altitudine sul livello del mare e nei  quali  il  dislivello
tra la quota altimetrica inferiore e la superiore non  e'  minore  di
500 metri; nelle regioni alpine il limite minimo di altitudine  e  il
dislivello della quota altimetrica, di  cui  al  periodo  precedente,
sono di 600 metri; c) sono altresi' soppresse  le  comunita'  montane
che, anche in  conseguenza  di  quanto  disposto  nella  lettera  a),
risultano costituite da meno di cinque comuni, fatti salvi i casi  in
cui per la conformazione e le caratteristiche del territorio non  sia
possibile procedere alla costituzione delle stesse con almeno  cinque
comuni, fermi restando gli obiettivi di risparmio; d) nelle rimanenti
comunita' montane, gli organi consiliari sono  composti  in  modo  da
garantire la presenza delle minoranze,  fermo  restando  che  ciascun
comune non puo' indicare piu' di  un  membro.  A  tal  fine  la  base
elettiva e' costituita dall'assemblea  di  tutti  i  consiglieri  dei
comuni, che elegge  i  componenti  dell'organo  consiliare  con  voto
limitato. Gli organi esecutivi sono composti al massimo da  un  terzo
dei componenti l'organo consiliare». 
    E' evidente che il prodursi degli effetti ivi indicati porta  con
se' una significativa menomazione del potere amministrativo regionale
di cui all'art. 118 Cost. 
    Spettava e spetta alla Regione  Veneto,  infatti,  in  attuazione
delle competenze ad essa attribuite direttamente dalla Costituzione e
dalle leggi che ad essa hanno dato attuazione, e, salvo  il  rispetto
di queste, con  piena  discrezionalita',  la  riorganizzazione  degli
apparati che, nell'ambito delle comunita'  montane,  son  deputati  a
svolgere le funzioni ad esse demandate e il riordino  dell'erogazione
delle funzioni stesse. 
    6. -  L'intervento  di  soppressione  e  di  ridefinizione  delle
Comunita' montane del Veneto operato  tramite  d.P.C.m.  19  novembre
2008, inoltre, risulta irrispettoso dei poteri  finanziari  regionali
di spesa di cui all'art. 119 Cost. 
    Esso,  infatti,  si  e'  risolto,  in   concreto,   anche   nella
cancellazione, imposta dallo Stato, di alcune voci  di  spesa,  ossia
quelle di finanziamento regionale alle comunita' soppresse,  e  nella
rideterminazione, secondo i criteri centralmente  fissati  anche  nel
quantum, delle uscite a favore delle Comunita' «riordinate»  mediante
l'ultimo intervento del Governo centrale. 
    Le regioni,  al  contrario,  devono  essere  lasciate  libere  di
scegliere quali spese limitare a vantaggio  di  altre  (Corte  cost.,
sent., 26 gennaio 2004, n. 36; Corte cost., sent., 17 dicembre  2004,
n. 390; Corte cost., sent., 14 novembre 2005, n.  417;  Corte  cost.,
sent., 15 dicembre 2005, n. 449; Corte cost., sent., 10  marzo  2006,
n. 88), mentre la previsione del legislatore statale puo' al  massimo
tradursi nell'imposizione di un «limite complessivo, che lascia  agli
enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi
ambiti e obiettivi di spesa» (cosi' Corte cost.,  sent.,  26  gennaio
2004, n. 36). Il che non significa affatto che  la  regione  pretenda
per se' il diritto di sperperare il pubblico denaro. 
    Non solo: il vincolo alla spesa, cosi' come imposto e attuato dal
legislatore statale, e' comunque - come si dira' - viziato  sotto  il
profilo della ragionevolezza e del buon andamento. 
    7. - Infine, sembra opportuno rilevare che il cosiddetto riordino
imposto alla Regione Veneto  dallo  Stato,  oltre  che  -  come  gia'
evidenziato - lesivo delle competenze regionali, si  segnala  per  la
sua irrazionalita'. 
    La disciplina statale fissata nella legge  n.  244/2007,  di  cui
come si e'  detto  l'intervento  del  d.P.C.m.  del  novembre  scorso
costituisce attuazione coatta per le regioni che non hanno provveduto
a  conformarvisi  spontaneamente,  e'  chiaramente  ispirato  ad  una
duplice finalita': istituzionale, di riordino della disciplina  delle
comunita' montane, e finanziaria,  ossia  di  riduzione  della  spesa
corrente di funzionamento delle Comunita' stesse. 
    E' evidente, altresi', che la finalita' istituzionale  si  trova,
nei confronti della finalita' di natura finanziaria  in  rapporto  di
mezzo a fine. 
    Ammesso e non concesso che la necessita' di coordinare le finanze
pubbliche,  riducendo  la  spesa,  possa  legittimare  un  intervento
ordinamentale tanto permeante,  deve  denunziarsi  come  il  prodursi
automatico degli effetti  di  cui  al  comma  20  dell'art.  2  della
Finanziaria 2008 non generera', in Veneto, alcuna forma di risparmio. 
    Gia'  a  livello  intuitivo  appare  evidente,  infatti,  che  la
soppressione di Comunita' montane  ex  abrupto  e  la  riduzione  dei
comuni che le compongono sono destinate a inficiare  quelle  economie
di scala per cui  le  comunita'  stesse  sono  state  create  e  sono
divenute famose, almeno nei luoghi in cui funzionano.  E  cio'  senza
considerare  che  il  subentro  dei  comuni  alle  comunita'  montane
soppresse nei rapporti attivi e passivi potrebbe  presentare  profili
onerosi nell'ipotesi - tutt'altro che remota  -  in  cui  l'incidenza
degli aspetti passivi  risultasse  maggiore  rispetto  a  quella  dei
profili attivi. 
    E se cio' e' vero in linea generale, lo e'  ancora  di  piu'  nel
caso specifico della Regione Veneto, come si tentera' di  seguito  di
dimostrare con l'ausilio di qualche dato dei bilanci delle  Comunita'
venete 2006, pubblicati dall'Istat. 
    Dall'analisi di questi bilanci  emerge  che,  dei  136,4  milioni
disponibili nel 2006,  il  24,81%  e'  stato  assorbito  dalla  spesa
concorrente e che - fatto 100 questo valore - la  fetta  piu'  grossa
(52%, pari a 17,8 milioni) e' stata utilizzata per la prestazione  di
servizi (6,7 milioni sono stati spesi per la gestione del  territorio
e  la  tutela  dell'ambiente  e  oltre  2  milioni  per   i   servizi
socio-assistenziali e sanitari). La spesa per il personale si  poneva
al di sotto della media dei comuni italiani impegnando il 22,5% delle
spese correnti, mentre la quota maggiore di uscite era  rappresentata
dalla spesa per i servizi che le comunita'  hanno  svolto  per  conto
terzi e principalmente per i comuni. 
    I dati riportati non dimostrano semplicemente  che  le  comunita'
montane venete, oggi in parte soppresse e per il  resto  ridotte  sul
lastrico dai continui e  dissennati  tagli  dell'ultimo  anno,  lungi
dall'essere centri inutili di spesa burocratica, hanno  rappresentato
e  rappresentano  efficienti  istituzioni   esponenziali   del   loro
territorio; ma anche che il risparmio che astrattamente  si  potrebbe
conseguire da una riduzione del numero delle Comunita' montane sara',
in realta', minimo. La maggior parte della loro spesa  era,  infatti,
destinata a funzioni per il territorio e la sua popolazione, funzioni
che dovranno essere riassorbite dai Comuni o dagli enti  che  a  loro
succederanno a costi certamente  maggiori,  dato  il  venir  meno  di
economie di scala. 
    Lo stesso commissariamento che la  Regione  Veneto  si  e'  vista
costretta a deliberare avra' dei costi significativi. 
    Deve, poi, considerarsi che tra le comunita' venete  soppresse  a
partire dalla pubblicazione  del  d.P.C.m.  del  novembre  scorso  si
annoverano anche comunita' che si sono distinte sul  piano  nazionale
per l'efficienza nella gestione della spesa, quali le Comunita' delle
Prealpi trevigiane, del Baldo, dell'Astico al Brenta, di Agno-Chiampo
e di Leogra Timonchio.Cfr. «Comunita montane e qualita' della  spesa.
I progetti, gli interventi, i servizi piu'  significativi»,  Indagine
UNCEM, a cura di E. Racca, Roma, settembre 2007, pp. 27 e ss. 
    Si  considerino,  inoltre,  l'inopportunita'  e  l'irrazionalita'
dell'intervento statale di cui al d.P.C.m. del 19 novembre  2008,  il
cui carattere immediatamente lesivo delle  prerogative  regionali  e'
gia'  stato  denunciato,   sotto   un'ulteriore   profilo:   con   la
soppressione automatica di otto delle  diciannove  comunita'  montane
venete  che  da  esso  consegue,  lo  Stato  produce  una  traumatica
interruzione  di  quel  rapporto   di   consolidata   convivenza   ed
aggregazione tra comuni con esigenze tra loro molto simili che si  e'
venuto a creare nel tempo e che ha portato meritori  risultati  sotto
il profilo della tutela della montagna e delle sue popolazioni. 
    Non solo:  il  rischio  che  l'erogazione  dei  numerosi  servizi
(servizi  quali   quelli   sociali,   assistenziali,   di   trasporto
scolastico, di raccolta dei rifiuti ecc.), che fino a  ieri  spettava
alle comunita' montane a sostegno dei comuni membri, venga interrotta
e' reso altissimo dal silenzio serbato dal Governo centrale in merito
al periodo di transizione ad un nuovo regime. Anche la disciplina  di
cui all'art. 2, comma 22, della legge n. 244/2007, ove si prevede  il
subentro  dei  comuni  alle  soppresse  comunita'  montane,  poi,  e'
inidonea a indirizzare le regioni nella fase successiva al cosiddetto
riordino ed e', peraltro, viziata sotto molteplici profili  (rilevati
con ricorso n. 19/2008) da illegittimita' costituzionale. 
    Tutto questo non potra' che  avere  conseguenze  drammatiche  sul
buon andamento delle pubbliche amministrazioni interessate da  questa
riforma. 
    Insomma, un riordino - degno di questo nome - si  sarebbe  potuto
avere solo a livello regionale, dal momento che e' la regione  l'ente
che, conoscendo la storia,  le  caratteristiche  e  le  esigenze  dei
territori che lo compongono, ha la capacita' di  interloquire  con  i
comuni e le loro popolazioni in modo serio  e  costruttivo.  A  nulla
servono, invece, le riforme «calate dall'alto», sulla base di criteri
fisico-geografici e  socio-economici  uguali  per  tutte  le  regioni
d'Italia. 
(1) Cfr. «Comunita montane  e  qualita'  della  spesa.  I  progetti,  gli
interventi, i servizi piu' significativi», Indagine UNCEM, a cura  di
E. Racca, Roma, settembre 2007, pp. 27 e ss.